Descrizione
La geomorfologia dell’Insubria Centrale, fra Sesia e Adda, si caratterizza per la presenza di terrazzi glaciali modellati per erosione e alluvione da centinaia di corsi d’acqua che li percorrono in direzione nord-sud. Questi territori sono detti baragge nel Novarese e nel Biellese; groane appena a nord di Milano; nella nostra zona gerbi, zerbi o brughere. Le brughiere – oggi ridotte a minime superfici – sono state per secoli molto estese: erano incolti, ospitanti una vegetazione bassa su cui predominava il brugo (Calluna vulgaris, brugh in lombardo) e la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius).
La quasi totalità del territorio del Parco della Pineta rientra in questa categoria di suoli: la loro acidità e scarsa fertilità, non compensabile con l’apporto di concimi organici, costituirono il limite all’insediamento di un’agricoltura di larga superficie. Nondimeno, in età antica, questi terreni erano comunque coperti da boschi, progressivamente sfruttati per cavarne legna da ardere; essi attraversarono poi un lungo processo di riforestazione che li condusse, a partire da fine Settecento, fino al paesaggio odierno.
La brughiera è scarsamente conosciuta sotto l’aspetto didattico-ricreativo. Paesaggio e natura, oltre ad essere elementi in sé meritevoli, offrono importanti spunti per la comprensione della storia locale e soprattutto della cultura delle popolazioni che in questi territori erano insediate.
La brughiera pedemontana lombarda, con quella piemontese, possono essere considerate come l’espressione più meridionale delle brughiere planiziali in Europa e per questo rivestono un assoluto valore biogeografico: esse si trovano del tutto isolate dal resto delle brughiere continentali, rappresentandone una disgiunzione di primaria importanza per la conservazione della natura a scala europea. La loro scomparsa, dunque, comporterebbe una grave perdita ecologica.
Origine e descrizione delle brughiere
L’origine delle brughiere sarebbe da attribuirsi alla successione vegetale di antichissimi querceti caducifogli scomparsi durante il Medioevo a causa dell’eccessivo sfruttamento. In particolare, al crescente prelievo di legna da ardere, necessaria per il riscaldamento delle case, si associò la rimozione dello strato di foglie, paglia e arbusti del sottobosco per farne strame (sia come foraggio che come lettiera per il bestiame) e la conduzione di animali al pascolo (maiali, pecore e capre).
Queste azioni dell’uomo, quando applicate su suoli a reazione acida e poveri di nutrienti, azzerarono la capacità dell’humus di rigenerarsi e di accogliere i semi delle piante arboree; l’assenza di copertura vegetale lascia emergere gli strati inferiori del suolo, quelli argillosi e impermeabili nel nostro caso, esponendo la superficie al dilavamento, favorito anche dai signifticativi dislivelli del nostro territorio.
Lo stesso fenomeno, in zone limitrofe, diede origine alle groane, superfici pianeggianti sempre su depositi ferro-alluminosi, dove però vi è una migliore possibilità di ristagno d’acqua; un terzo ecosistema, i substrati ghiaiosi e permeabili, generò le vaste brughiere a est del Ticino, nella zona della Malpensa, oggi quasi totalmente rimboschite o urbanizzate.
Con la limitata componente ad alto fusto, le brughiere si definiscono come comunità vegetali contraddistinte da cespugli di piccola taglia, soprattutto appartenenti alla famiglia delle Ericaceae e subordinatamente a quella delle Fabaceae: brugo e ginestra sono, rispettivamente, le specie predominanti. Questi micro-arbusti si alternano a macchie di graminacee (in particolare Molinia caerulea subsp. arundinacea), spesso con ampie zone denudate con suolo di tipo minerale; solo in una fase evolutiva successiva, di ripresa, si osservano betulle, pioppi e pini silvestri.
Gli austriaci e la questione degli incolti
La questione degli incolti fu studiata sin dal Settecento: gli austriaci, che governavano il Ducato di Milano, ritenevano incomprensibile come la Lombardia presentasse – da un lato – una delle agricolture più avanzate d’Europa, dall’altro estese aree d’ombra, improduttive anche sotto il profilo forestale. I governi di Maria Teresa e di Giuseppe II si concentrarono nell’elaborazione di leggi tese a incentivare la bonifica delle brughiere; contemporaneamente si attivò anche il mondo scientifico: la Società Patriotica di Milano tradusse dal francese il testo “Istruzione pratica per la coltivazione dei terreni incolti” del marchese Turbilly; nel 1778 e ancora nel 1786 istituì un premio per la coltivazione delle brughiere; ma se la prima edizione raccolse un buon successo, la seconda andò deserta: evidentemente le risposte pratiche alla questione non erano di facile elaborazione.
Alcune soluzioni tecniche per la valorizzazione degli incolti si erano però viste nel 1762, in un pionieristico studio che porta il nome di “Piano di separazione, inalveazione e sbocco dei tre torrenti di Tradate, del Gardaluso e del Bozzente” dell’idrologo e matematico Padre Lecchi. In questo testo, al fine di regolamentare le piene dei nostri torrenti, si segnalava la necessità di ricoprire sia il monte che le casse di espansione a valle con piantumazioni di ontano, pioppo, salice e quercia. Il Lecchi aveva infatti individuato le ragioni dei disordini idrici nel totale denudamento del bacino imbrifero, che comportava continui interramenti degli alvei e che era perennemente saccheggiato durante il «taglio dei boschi, i quali furono stabiliti dalla natura per sostegno de’ monti, e delle valli, e per freno a’ torrenti, ed a’ fiumi».
Fra il 1773 e il 1778 il Visitatore Generale, consigliere Odescalchi, istruì alcuni sopralluoghi per annotare i lavori di piantumazione dell’Alto Milanese. Secondo il tecnico la distruzione dei boschi era prodotta dai greggi e dagli stessi locali, che arrivano addirittura a tagliare i castagni da frutto per farne carbone. Per il popolo l’approvvigionamento di legname era da ritenersi la prima fonte di reddito, a fronte dell’altissima richiesta da parte delle industrie di raffinazione del ferro. Secondo l’Odescalchi la mancanza di piante da fuoco era veramente critica a Monza e nelle valli varesine e lecchesi; mentre nel Gallaratese e in particolare a Turate i nuovi rimboschimenti promettevano buoni frutti.
Nel 1790 nuove possibilità scientifiche finirono sotto analisi della citata Società Patriottica a seguito della pubblicazione del “Viaggio negli Stati Uniti dell’America Settentrionale fatto negli anni 1785, 1786 e 1787” del Conte Luigi Castiglioni, e in particolare del secondo volume del Viaggio, intitolato “Osservazioni sui vegetabili più utili degli Stati Uniti”. La scoperta di nuove essenze esotiche tese la mano ai primi esperimenti di coltivazione forestale eseguiti dal Conte Castiglioni, che importò nella brughiera di Mozzate la Robinia Pseudoacacia, oggi diffusissima in tutta Italia, e molte varietà di pini, strobus, balsamea, americana e canadensis.
Degno di nota è un manuale per agricoltori di G.A. Ferrario, datato 1818, in cui l’autore individua e stima l’estensione di quattro grandi aree incolte insubri: il gallaratese, le Groane, la zona di Trezzo d’Adda e proprio il territorio tra Tradate e Appiano Gentile.
Nel 1835 il Gioja, nella “Discussione economica sul dipartimento del Lario”, continua la disamina sull’estensione delle brughiere lombarde: «le vaste brughiere d’Angera, Tradate, Castelnuovo, Appiano, Canturio, Noverate, Airuno» erano in tale condizione per «la poca pratica dell’arte di ridurre la terra a prato». Ancora il Gioja nella simile “Discussione economica sul dipartimento dell’Olona”, disprezzava la presenza delle brughiere, «che tra il Ticino, l’Olona e il Seveso producono soltanto un miserabile brugo» ; l’economia lombarda, affamata di legname da opera e da fuoco, poteva essere risollevata solo aumentando le superfici boscate, sfruttando gli ambiti marginali alle pubbliche vie, alle brughiere stesse, ai confini dei poderi per piantarvi querce, roveri e castagni.
La Giunta Tecnica per la bonifica delle brughiere
Il Governo del Lombardo-Veneto invitò l’Istituto Lombardo di Scienze, Lettere e Arti a costituire un giunta tecnica per la bonifica delle brughiere, presieduta dal conte Luigi Bossi. Vennero prodotte due relazioni: la prima è uno studio storico e toponomastico, “Ricerche sul nome e sull’antica condizione dei terreni incolti detti volgarmente brughiere”; la seconda, “Intorno al modo di rendere fruttifere le brughiere del Milanese” è invece una linea guida pratico-applicativa. Dagli studi si risolse che i 2/3 della brughiera a sinistra dell’Olona era già stata boscata a partire dal 1799; ma, per il Bossi, la vera natura degli ostacoli alla bonifica sarebbe stata di tipo economico-politico e non tecnico. Specialmente, bisognava istruire il popolo, ancora convinto che il bosco fosse meno produttivo della brughiera, da cui traeva molto più strame e terre da pascolo. La complessa relazione si sofferma poi a individuare varie tipologie di brughiera e i metodi migliori per la gestione, l’istruzione dei contadini, i premi e le pene.
Posta questa “pietra miliare” la questione si spostò sulla scelta delle specie migliori da utilizzarsi per i rimboschimenti. Per Margaroli (1831) querce e castagni erano le essenze più adatte, e il dissodamento non sempre è conveniente. Su questo concordava anche il Lomeni, che consiglia per i terreni ghiaiosi l’introduzione della robinia. Dal 1833 la fama di questa pianta americana prese sempre più piede grazie alle proposte di Colombetti contenute in “Della falsacacia o robinia sua coltivazione o sia mezzo sicuro di rimediare in breve tempo alla mancanza di legna”. Ormai famosa per la sua eccezionale velocità di crescita, la robinia ha varcato i muri delle ville e delle coltivazioni e si è imposta assieme al pino silvestre come l’oggetto del dibattito fra tecnici.
In “Sulla convenienza di ridurre gli scopeti dell’alto Milanese a boschi di pino silvestre”, opera dell’ingegnere Gaetano Preda (1841), si dimostra come i semi di quest’albero pioniere, portati dal vento, germoglino facilmente anche in mancanza d’acqua. Tutti i testi successivi affinano le tecniche colturali di queste due piante: la crescente attenzione su di esse fu probabilmente dovuta proprio alla loro sempre maggiore presenza nel paesaggio lombardo, prima a piccoli nuclei, poi -dalla seconda metà del secolo – in modo sempre più esteso e per ciò che concerne la robinia, anche invasivo.
L’evoluzione nell’ultimo secolo
All’interno dell’attuale Parco Pineta, così come di tutta la fascia pedemontana dalla Sesia all’Adda, la trasformazione dell’uso del suolo nel corso del Novecento è passata tramite due fenomeni. Il primo è stato la progressiva espansione delle aree forestali ad alto fusto, diretta conseguenza gli interventi di rimboschimento e tentativo di “redenzione economica” del valore fondiario. Secondariamente, a partire dagli anni Cinquanta, le aree agricole hanno subito una drastica riduzione causata dall’inedito ampliamento delle aree antropizzate e, in misura inferiore, da una parziale espansione dei boschi.
Possiamo stimare che, dalla prima metà dell’Ottocento ad oggi, la copertura forestale nel territorio del Parco sia triplicata, ove una quota importante è costituita da boschi di neoformazione o relitti di impianti forestali artificiali (piantagioni). In entrambi i casi è preponderante la presenza di specie esotiche (robinia, quercia rossa, pino strobo, prugnolo tardivo).
In generale, oggi gli incolti e le brughiere sono quasi completamente scomparsi, anche a causa dell’espansione urbana, che ha trovato nelle aree marginali un terreno – questa volta fertilissimo – per strade e cemento, mentre i boschi risultanti dalle opere di bonifica dei secoli scorsi adempiono in modo sempre più precario a riequilibrare il bilancio fra mondo selvatico e mondo urbano.
Dove osservare le brughiere nel Parco
Un piccolo scorcio, frutto di un progetto di sperimentazione forestale denominato “Coltiviamo la brughiera”, si può incontrare sul sentiero 844, poco a sud della piantagione di proprietà Proverbio. L’operazione ha previsto il taglio di un appezzamento collocato in corrispondenza della strada di servizio dell’elettrodotto e, pertanto, sottoposto a manutenzione periodica per evitare la crescita di alberi ad alto fusto che possano interferire con l’infrastruttura. Tra gli obiettivi del progetto vi è stata la conversione sperimentale a brughiera dell’area, al fine di valutare e ottimizzare le tecniche di riconversione e di mettere a punto procedura da applicare in altre località.
Altre piccole zone a brughiera si ritrovano in località Val Moriggiola, in prossimità del sentiero 542, generate da operazioni di taglio e miglioramento ecologico.
La brughiera ha una notevole importanza nel paesaggio dell’alta pianura lombarda, soprattutto se inserita nel più ampio contesto territoriale fortemente antropizzato in cui si trova, rappresentando un biotopo importante per la fauna e la flora. In particolare, tra le specie vegetali, si annovera la presenza peculiare della genziana mettimborsa (Gentiana pneumonanthe) considerata a rischio d’estinzione in Italia e presente nel Parco della Pineta con una popolazione di pochissimi esemplari.
Il Piano Paesaggistico regionale riconosce nella brughiera un elemento caratterizzante il paesaggio dell’alta pianura lombarda e come tale è necessario una sua salvaguardia; similmente è riconosciuta dall’Unione Europea tra le “Lande Secche Europee” (“European dry heaths”, habitat 4030 Natura 2000) come habitat d’importanza comunitaria ai sensi della direttiva 92/43/CE.
Autore
Matteo Colaone