Descrizione
L’attuale territorio del Parco della Pineta coincide col bacino imbrifero che alimenta tre torrenti: il Bozzente, il Gradaluso e il Fontanile di Tradate. La sua morfologia è profondamente solcata da numerose valli e declivi, sul fondo dei quali si raccolgono le piogge e l’acqua di poche sorgenti; nel loro procedere, questi flussi si uniscono a formare rami sempre di più ampi alimentando i tre corsi d’acqua citati. Essi hanno un carattere fortemente torrentizio, ossia sono del tutto asciutti nelle stagioni secche, mentre possono diventare impetuosi a seguito di forti e prolungate precipitazioni.
Proseguendo verso sud, i torrenti incontrano i paesi di Tradate, Abbiate, Locate, Carbonate e Mozzate. All’altezza di queste località vi è il termine del bacino di alimentazione collinare e l’acqua incontra la pianura coltivata e abitata.
Fino alla seconda metà del Settecento essi si scaricavano in alvei molto vicini e, nelle brughiere a sud di Mozzate e Cislago, si univano in un unico corso che proseguiva verso Uboldo, Origgio, Lainate e Rho, causando fenomeni di alluvione che per tanti secoli hanno travagliato molte Comunità. Inoltre, le acque di piena trasportavano a valle enormi quantità di terra e ghiaie che, depositandosi sui letti, ne innalzavano il livello favorendo la fuoriuscita delle acque dai loro alvei.
Nel 1762 fu ultimato il Piano della separazione dei tre torrenti a conclusione di due secoli di tentativi, lavori e lutti. Questa opera, progettata da padre Antonio Lecchi per conto dell’amministazione austriaca dello Stato di Milano, forniva una sistemazione razionale e definitiva del problema idraulico e della sicurezza delle popolazioni e paesi.
Le inondazioni
Il problema sottoposto a Lecchi era ben conosciuto: liberare una delle più fertili provincie del Ducato di Milano dalle furiose inondazioni che questi tre torrenti, uniti o separati, periodicamente riversavano sui territori di Cislago, Gerenzano, Uboldo, Origgio, Lainate e Rho, devastando coltivazioni, abbattendo abitazioni e portando morte tra uomini e animali.
Le Comunità avevano anche valutato di incanalare i torrenti nel vicino fiume Olona, ma ciò fu vietato per evitare inondazioni lungo il suo corso e danni ai mulini fra Cairate e Rho. I torrenti avrebbero dovuto consumare le loro piene nelle brughiere e nei boschi, con spandimenti calcolati.
La situazione era la seguente:
- Il Fontanile, seguendo un percorso quasi identico a quello attuale, passava vicino alla Cascina Cipollina di Carbonate (che si trovava poco a ovest di quella attuale) e si consumava nei boschi di Gorla Minore.
- Il Gradaluso, uscito dalle brughiere a Locate, attraversava il paese di Carbonate col nome di roggia Tinella, e si dirigeva oltre l’attuale Statale Varesina (il tracciato attuale è successivo) per poi piegare in direzione a sud di Santa Maria Solaro, San Martino e Cislago; infine, si disperdeva nelle brughiere della località Massina.
- Il Bozzente, giunto tra Mozzate e Santa Maria Solaro, entrava in Cislago fra le due chiese, attraversava il paese e, passando per la Fagnana, entrava in Gerenzano; da lì proseguiva verso la Madonna del Soccorso in direzione di Uboldo; circondava il paese con un largo semicerchio e voltava poi verso i boschi di Origgio e Lainate, nei quali si disperdeva. Parte dell’alveo, quando in secca, era anche utilizzato come strada Varesina.
Nel 1603, a seguito di una piena che portò distruzione fino ad Origgio, la famiglia Borromeo, proprietaria delle terre di quel paese, finanziò la costruzione di una chiusa che sbarrasse e deviasse il Bozzente a sud di San Martino, prima di Cislago. Fu realizzato il Cavo Borromeo, che ancor oggi conduce le acque in un percorso rettilineo in direzione dei boschi di Gerenzano Uboldo fino alla brughiera del Guasto di Origgio nella quale si spandeva completamente in varie diramazioni appositamente scavate. Il vecchio alveo del Bozzente venne poi riadattato a strada, come è ancora oggi. ll Gradeluso, a sua volta, venne immesso nel Cavo Borromeo.
Il punto debole del progetto fu il disegno della chiusa, che, in corrispondenza delle piene, ebbe crescenti difficoltà a reggere e a volte tracimava parzialmente. Nel 1718 la diga viene devastata, riportando il Bozzente nel vecchio alveo e allagando i paesi a valle. La chiusa non venne ricostruita, ma si fecero altre opere minori, che non risparmiarono danni nelle piene del 1729 e 1738. Il vecchio corso del Bozzente diventa un lungo cantiere di opere individuali e frammentarie che crearono discordie tra le Comunità e numerosi ricorsi all’amministazione pubblica.
Nel frattempo il Fontanile irruppe nell’Olona. Si trattò di un evento catastrofico, considerando l’altezza della valle e i danni che produsse alle attività molitorie che vi erano insedate. Il Vicario del Seprio ordinò la chiusura di questo nuovo corso e la restituzione del torrente al suo antico alveo.
Il 1° luglio 1756 si ebbe un violentissimo nubifragio con grandine e vento impetuoso. Un enorme quantità d’acqua si scaricò dal bacino imbrifero negli alvei già gonfi da precedenti temporali, sfociando infine del Bozzente di Cislago. L’alluvione provocò la distruzione delle derrate, la corrosione dei poveri muri delle case, e la morte di centinaia di animali, tanto che per giorni l’aria fu impestata dall’odore dei cadaveri trasportati dalla piena.
Antonio Lecchi
Giovanni Antonio Lecchi nacque a Milano nel 1702. Studiò nel Collegio dei Gesuiti a Brera e divenne sacerdote nel 1736 e divenne insegnante. Iniziò a produrre una serie di opere scientifiche in materia di fisica newtoniana, matematica e geometria, arrivando a pubblicare degli interi corsi di queste materie. Nella sua lunga docenza a Brera, lo troviamo alla cattedra di matematica fino al 1760 e quindi a quella di matematica e idraulica nei successivi tredici anni.
Assistette come confessore il governatore di Milano Beltrame Cristiani, la cui protezione gli fruttò il titolo di regio matematico, conferitogli a Vienna nel 1759, conseguentemente al quale ricevette un buon salario e venne esonerato dall’insegnamento.
Ta il 1757 e il ’58, ormai più che cinquantenne, aveva riorientato i propri interessi verso una seconda carriera, quella di ingegnere idraulico, con particolare attenzione alla gestione delle acque fluviali del territorio milanese e padano. Divenne così il maggior esperto interpellabile in questa scienza ogni qualvolta si dovesse calcolare e progettare il regime di torrenti e canali, la loro inalveazione e portata. Studiò l’idraulica e le riparazioni del canale Muzza, presso Lodi, la derivazione del Naviglio Grande dal Ticino, il rafforzamento degli argini del Po a Cremona.
Tra il 1760 e il ‘62 fu chiamato proprio a progettare la sistemazione dei torrenti della brughiera di Tradate; notevole fu, negli anni successivi, il suo coinvolgimento in una secolare controversia tra Ferrara e Bologna riguardo al corso del Reno, fiume separato dal Po a inizio del Seicento. Il piano previso dal Lecchi fu effettivamente approvato e eseguito sotto la sua direzione e durò ben sei anni. Morì a Milano nel 1776.
Il Piano della separazione
La piena del 1756 fu relazionata con precisione all’amministrazione pubblica. Due anni piuù tardi, il Duca di Modena Francesco III d’Este, che svolgeva funzione di Amministratore del Governo e Capitano Generale del Ducato di Milano, si assunse la responsabilità di un progetto di riordino dei tre torrenti.
Nella giunta nominata per il disegno del piano era presente Antonio Lecchi, Giancarlo Besana e Bernardo Maria De Robecco. Costoro elaborarono un progetto ricco di particolari nel giro di pochi mesi, completo di un rilievo planimetrico del territorio, caratteristiche idrauliche, calcoli delle portate di piena dei singoli torrenti e illustrazione delle singole opere da eseguirsi. Il piano si basava sulla separazione dei tre torrenti, al tempo ancora uniti nel Bozzente di Cislago, in tre alvei distinti che li avrebbero accompagnati a spagliarsi in tre differenti zone della brughiera. La pendenza e la forma della sezione dei corsi fu calcolata in modo che la velocità delle acque risultasse il più possibile costante al variare della portata, così da evitare il progressivo interramento per accumulo di sabbie. Si indicava, inoltre, il divieto di zappare il brugo nelle valli del bacino di alimentazione e un intenso rimboschimento delle stesse al fine di trattenere il piu’ possibile le acque piovane.
Approvato il piano, vennero immediatamente appaltati i lavori con un impiego imponente di uomini e animali. L’opera venne ultimata verso la fine del 1760, mentre il piano fu completato in tutti i suoi particolari nell’anno 1762.
La lungimiranza dei tecnici e degli amministratori volle che tutti i proprietari delle terre, che da Tradate a Rho, erano stati interessati o soggetti ai fenomeni dei tre torrenti, si unissero in un consorzio, finanziato in parte dal Ducato e in parte da loro stessi, avente lo scopo di conservare il piano sempre funzionante con le necessarie sorveglianze e manutenzioni. Il “Consorzio dei Tre Torrenti” fu attivo fino al 1934.
Purtoppo, l’evoluzione del territorio negli ultimi decenni ha visto l’espansione del costruito nelle zone di spagliamento dei torrenti e notevoli sono stati gli interventi distruttivi dell’antica rete di regimazione.
Autore
Matteo Colaone