Cave di pietra molera della Valle del Lanza

Descrizione

Il Monumento naturale “Sistema naturalistico delle cave di Molera di Malnate e Cagno” definite in modo più colloquiale “cave di Molera” è un’area protetta situata nel territorio del PLIS della Valle del Lanza, nei Comuni di Malnate e Solbiate con Cagno. É stata istituita nel 2015 per conservare e mantenere gli affioramenti di pietra arenaria (localmente detta pietra molera, per l’utilizzo nella produzione di mole) e l’ecosistema sviluppatosi attorno ad essi.

L’area si estende lungo il versante orientale della valle, alla sinistra orografica del torrente Lanza. Successivamente all’abbandono dell’attività estrattiva, nelle cave si è creato un peculiare sistema naturale contraddistinto da profondità importanti, alte pareti verticali di arenaria e una vegetazione tipica delle valli fluviali e dei boschi misti di latifogie.

Le cave più visibili

Sono presenti una dozzina di cavità principali, di maggiori dimensioni e più facilmente raggiungibili, la buona parte ubicate lungo il Sentiero di Fondovalle. Altre a mezza costa, ormai nascoste dalla vegetazione, oltre che a diverse piccole cavità poco profonde e a quote differenti, probabile esito di tentativi di escavazione abbandonati, progressivamente ostruite da microfrane dei versanti e/o sedimentazione di materiale.

Sul territorio di Malnate le cave erano servite da una strada consortile, andata persa nel tempo. Della strada consortile rimangono testimonianze nei brevi tratti in cui ancora è riconoscibile il fondo di caratteristico ciottolato lombardo e il muretto di contenimento del percorso che,  verosimilmente, era a una quota maggiore del fondovalle circostante.

 

Come raggiungere il Monumento Naturale delle Cave di Molera di Malnate e Cagno

Attenzione: le cave sono visitabili dall’esterno, ma è interdetto l’accesso per ragioni di sicurezza.

Spostandosi a piedi le cave si possono raggiungere percorrendo il Sentiero di Fondovalle (701-801) della Valle del Lanza. Attualmente la maggior parte delle cave sono servite dal sentiero di Fondovalle (701-801) con accessi in prossimità del Mulino del Trotto e del Mulino Bernasconi. Alcune rimangono raggiungibili dal tracciato rimaneggiato dell’antica consortile di Malnate che si imbocca in località Bagoderi dall’omonima via.

Per avvicinarsi alle cave in auto partendo dal Comune di Solbiate con Cagno in località Mulino del Trotto, in via Mulino del Trotto. Partendo dal Comune di Malnate dal Mulino Bernasconi in via Zara, da via Bagoderi e da via 1 Maggio, presso il parcheggio del centro Dog Eden.

L’utilizzo locale dell’arenaria

Già dal V secolo a.c. le popolazioni celtiche che abitavano le colline sopra Como utilizzavano ampiamente l’arenaria. In particolare per la realizzazione delle coti, pietre per affilare e affinare le punte e rimuovere le sbavature di fusione. Ma anche come materiale da costruzione. Nel 1875, a San Fermo della Battaglia, furono riportati alla luce un tratto di muro di fondazione e un canale di pietre squadrate. Alla stessa epoca risale il ritrovamento della Stele di Prestino (480-450 a.c.), un parallelepipedo in arenaria con una incisione in alfabeto lepontico, scoperta nel 1966.

L’uso della pietra continuò in epoca romana per la costruzione di torri di avvistamento, come al Baradello. Sembra fare la sua comparsa anche nel territorio dell’odierno Parco con una lapide in molera molto erosa rinvenuta accanto alla torre sul colle di San Maffeo a Rodero, recante un’epigrafe latina frammentaria. Nel Medioevo conosce ampio utilizzo nell’edilizia ecclesiastica lecchese. A Como era preferito il marmo di Musso.  Il marmo di Musso era proveniente da cave sul lago e portato in città su barconi. L’arenaria invece era utilizzata per coronamenti e particolari come gli archetti dell’abside della Basilica di San Fedele e la pala dell’altare di Sant’Ambrogio nel Duomo.

Nel Seprio l’arenaria era probabilmente impiegata in modo causale. Le prime evidenze risalgono al periodo altomedievale quando fu utilizzata nell’edilizia sacra e civile dell’antica Castelseprio (VI secolo).

L’impiego dell’ arenaria in architettura

A partire dal XV secolo è certo l’utilizzo dell’arenaria di Malnate in architettura, presente in tutti gli edifici fatti erigere dal cardinale Branda Castiglioni a Castiglione Olona, come la rinomata Collegiata (1422-1425) e la Chiesa di Villa (1437-1444). Nella Collagiata la molera fu utilizzata per la realizzazione del rosone decorativo della facciata e per gli archi delle finestre. All’interno rimangono ancora – ben conservate e protette dagli agenti atmosferici – le colonne che dividono le tre navate. Nella Chiesa di Villa invece, oltre a colonne e portali, spiccano le due grandi statue di Sant’Antonio Abate e San Cristoforo all’ingresso, oltre a una più deteriorata di Sant’Ambrogio risalente probabilmente alla fine del XVI secolo.

Oltre all’edilizia sacra, Castiglione conosce l’ampio uso della pietra molera anche in civile, sempre legata al cardinale Castiglioni e al palazzo dei conti Magenta. Il grande utilizzo della molera fatta dagli architetti di scuola toscana impegnati a Castiglione, probabilmente era dovuta alla similitudine della pietra molera con la “pietra tiburtina” estratta nelle cave toscane lungo la valle del Tevere. Sempre sul finire del XV secolo, grazie alla sua facile lavorabilità, fu utilizzata anche nella realizzazione del santuario della Madonna del Monte a Varese. Successivamente venne impiegata anche per l’edilizia sacra malnatese nella Cappelletta di San Rocco (1513-34). Probabilmente a quegli anni risale anche il largo utilizzo della pietra molera nel borgo del Mulino del Trotto.

L’arenaria e il Rinascimento

Con il Rinascimento la molera viene utilizzata in tutto il Ducato di Milano, sia nell’edilizia sacra che civile, come le ville dei Visconti e gli argini del Naviglio Grande.
Una mappa del XVI secolo attesta l’estrazione della molera nelle zone della comasca, da cui è poi trasportata attraverso tutta l’Italia.
Non si può tuttavia dire, per mancanza di documenti che ne attestino la provenienza, se la molera utilizzata in epoca viscontea provenisse da Malnate piuttosto che da Como o dalla Brianza.
In un viaggio ipotetico a partire dalle nostre cave, i grandi blocchi di pietra vengono trasportati con carri fino al lago di Varese. Dal lago via nave lungo il torrente Bardello e nuovamente via carro fino al Lago Maggiore. Da qui sempre via nave lungo Ticino e Naviglio Grande poteva raggiungere Milano. Tra il XVI e il XVIII secolo le cave lombarde fornirono materiale da costruzione per cascine, palazzi nobiliari, piccole chiese e basiliche.

La molera a Malnate

Nella zona di Malnate, anche se fu utilizzata tra il XVII e il XVIII secolo per la chiese di Sant’Anna di Gurone, San Martino e San Matteo a Malnate, non viene riportata una attività estrattiva continuativa e redditizia. Anche nel catasto teresiano, primo grande e puntuale censimento delle attività lavorative dell’epoca, non figura quella estrattiva, sebbene in alcuni documenti compaiano le “mole da mistura”, forse realizzate in molera di Malnate. Solo dal XIX secolo le cave di Malnate conoscono un secondo periodo d’oro. Questo periodo è legato all’utilizzo edilizio, alimentare (macine per cereali e brille per riso) e industriale (mole), grazie anche allo sviluppo dei trasporti ferroviari e all’apertura di nuovi mercati.

Nella guida su Varese e i suoi dintorni del 1837 di Carlo Castiglioni, è riportata tra le ricchezze del territorio la «pietra detta molera ricopre il monte opposto a Malnate », quindi estratta dal Monte Chignolo. Nel 1861 è segnalata la presenza di varie cave sul territorio e nel 1874 una guida turistica Varese e il suo territorio di Giulio Cesare Bizzozero accompagnava i viaggiatori a scoprire le cave di Malnate (vedi galleria).

Strumenti abrasivi nati dall’arenaria

Il geologo Curioni nel 1877 riportava, con grande lungimiranza, il possibile uso della molera per la realizzazione di macine da mulino e sopratutto strumenti abrasivi. Nel 1882, infatti, nasceva la Mole Ermoli, fiorente azienda malnatese che, almeno nei primi decenni, utilizzò proprio l’arenaria di Malnate per farne strumenti abrasivi.
Sempre nel 1877 la Statistica della Camera di Commercio di Varese riportava la presenza di 7 cave di arenaria, con 15 operai e altrettanti manovali, impegnati 2/3 dell’anno con una produzione di circa 1000 brille da riso l’anno e materiale edilizio.

Verso al fine del secolo lo sviluppo della rete ferroviaria fece da volano anche per l’economia degli scalpellini.
Nel 1891 vi erano una quindicina di cave, attive e non, per 100-150 operai. Si formò una classe di esperti operai scalpellini, che conobbero fama anche in Europa e a Malnate costituirono la Società Anonima Cooperativa Lavoranti Scalpellini. Oltre all’uso diffuso nell’edilizia malnatese, come ad esempio lo stabile dell’allora scuola elementare e attualmente sede degli uffici comunali. Anche nella vicina Cagno troviamo un esempio di edilizia del 1867 che impiegò la pietra molera, la fontana di piazza San Rocco.

La fine delle cave Molera

Il declino delle cave di Malnate iniziò negli anni Venti e Trenta del Novecento a causa dello sviluppo di materiali migliori sia in edilizia (mattoni, calcestruzzo) sia nell’industria abrasiva (smeriglio). Nel 1928 era riportata una sola cava. Citata sul mercato fino al 1929, dal 1936 non c’è più traccia nel “piano cave”. Gli scalpellini si ricollocarono nell’industria malnatese dei pavimenti, che raggiunse ottimi livelli.

La natura si riprende le cave

Terminata l’attività estrattiva, la natura si è pian piano ripresa possesso degli antri lasciati dall’uomo. L’unico studio approfondito sulla biologia delle cave è stato condotto dal Gruppo Speleologico Prealpino nella Cava della Strìa nei pressi della stazione di Malnate-Olona lungo la ferrovia della Valmorea nel progetto di fattibilità del PLIS Cintura Verde Sud Varese. Le cavità di quell’area, site in Comune di Varese, rimangono al di fuori dell’area del Monumento Naturale. E’ plausibile che non differiscano molto dal punto di vista “biologico” con quelle situate lungo l’asta del torrente Lanza. Questa idea nasce anche da osservazioni sommarie e rilevamenti casuali effettuati nel corso degli anni in queste ultime.

Tutte le cave sono accomunate dalla presenza di pozze di acqua, più o meno profonde, createsi dall’infiltrazione di acqua dalla roccia. E dove c’è acqua, c’è vita. Non è difficile, infatti, trovare nel periodo primaverile:
• le larve delle salamandre,
• le rane rosse.
Si segnala anche un’osservazione della rana termporaria, che nei tranquilli specchi d’acqua depone le uova al riparo da predatori e siccità.

 

La Cava della Strìa

Lo studio svolto nella Cava della Strìa ha rilevato anche la rara presenza di larve acquatiche di insetti e coleotteri e di diversi crostacei del genere Niphargus. Una specie sotterranea stigobia (tipica cioè di un ambiente acquatico cavernicolo), cieca, depigmentata e con caratteri che la collocano tra le forme maggiormente specializzate per la vita ipogea, come indicato dal corpo snello e dalle appendici allungate. Nell’area asciutta circostante sono stati repertati alcuni coleotteri adulti, carabidi e cholevidi.

Dal punto di vista botanico, le pareti più esterne e umide sono ricoperte da manti di muschi e particolari specie vegetali chiamate “epatiche”, del genere Conocephalum. Tra le fenditure delle rocce e sui piccoli accumuli di sabbia, si sviluppano le felci del genere Asplenium.

 

Bibliografia
  • C. Corselli, Il mare in fondo al pozzo: i fossili pliocenici del Pozzo Bagoderi di Malnate, Sistema Museale Alta Valle Olona, 1997
  • M. Naressi, LAPIDES MOLARES. Antiche glorie della pietra molera, Macchione Editore 2007
  • G. Morelli (a cura di), Confini: paesaggi, culture, storie tra le prealpi lombarde. 15 anni dalla costituzione del PLIS Valle del Lanza, Nomos Edizioni, 2019

Geolocalizzazione

Autore

Matteo Colaone / PLIS della Valle del Lanza