Descrizione
La presenza di streghe nel nostro territorio ha due risvolti. Il primo attiene il folklore popolare è si incarna nella credenza, viva fino a pochi decenni fa, dell’esistenza di queste figure femminili con caratteristiche e comportamenti peculiari che si ritrovano nei racconti tramandati un po’ in tutti i nostri paesi.
Il secondo aspetto riguarda le vicende storiche, in particolare quelle che videro Venegono Superiore luogo di un processo per stregoneria nel 1520.
La caccia alle streghe nel Ducato di Milano
La storiografia degli ultimi decenni [1] ha determinato che quanto si conosce dai documenti del dell’Inquisizione milanese è solo una visione parziale del fenomeno, poichè la maggior parte dell’archivio è andato distrutto nel rogo del 3 giugno 1788 ordinato dalle autorità austriache e, quasi tutta la rimanenza, dai bombardamenti anglo-americani del 1943.
Sulla base di ciò, si è inteso che la persecuzione iniziò alla fine del Trecento in pochi luoghi, per poi divenire diffusa nella seconda metà del Quattrocento, con una media di circa 2 condanne a morte per ogni “caccia” eseguita. All’inizio del secolo successivo rimase stabile il numero di “cacce” ma aumentò sensibilmente la quantità di processi e condanne. Il Comasco e la Val Camonica furono i territori più colpiti.
Nel complesso, si è conoscenza di oltre 600 persone processate, delle quali circa 250-260 ebbero come conseguenza il decesso. Nel 90% dei casi fu determinante il giudizio del tribunale ecclesiastico, che puniva i reati di eresia e di apostasia della fede; il potere secolare si occupava invece del crimine di “maleficio”.
Gli studi antropologici hanno evidenziato come le vittime dell’Inquisizione fosse la presenza di credenze dualistiche, ossia della permanenza, seppur in seno a un ambiente cristianizzato, di elementi rituali e liturgici provenienti dalle religioni locali precedenti. A ciò si aggiunse la volontà di demonizzare componenti sociali non integrate nei costumi e nelle usanze desiderate dalle autorità.
La divinazione, la magia, il culto di elementi naturali e luoghi particolari erano effettivamente parte delle pratiche religiose popolari. Ciò traspare dalla confessione di raduni in località boscate, di metamorfosi animalesche, del “volo” streghesco che allude forse a esperienze psichiche indotte. Tutti elementi che scaturiscono violentemente dalla ricerca attiva, dallo stanare ogni singolo individuo che fosse attore o partecipante a tali forme e situazioni.
In tantissime deposizioni compare il nome della Diana, altrimenti detta Bona Dea, Bona Dama, Signora del Gioco o Madonna Oriente, ipostasi o diretta prosecuzione di una divinità pagana femminile venerata anticamente in Lombardia. Secondo alcune imputate, l’appartenza alla societas di questa domina non si poneva in contrapposizione al Cristianesimo, ma rappresentava un interpretazione locale della religiosità. L’incontro con questa divinità permetteva di assistere a immagini e esperienze inconsuete, per alcuni aspetti simili a quelle degli antichi Misteri classici: la resurrezione di animali, il consumo comunitario di carne e bevande, l’iniziazione dall’età adolescenziale.
Ovviamente, per le autorità questi ingenui ma simbolicamente profondi racconti non potevano che essere originati dal Diavolo e diffusero la convinzione che i sabba e le streghe fossero delle realtà avverse al monoteismo e alla stabilità sociale.
Nel Cinquecento, ormai, queste narrazioni non dovevano avere più nessun corrispettivo concreto, ma divennero semplicemente dei modelli ripetuti per mera imitazione degli originali, con l’aggiunta di nuovi elementi ancora più paradossali (rapporti sessuali, apparizioni di demoni, sotrrazione di oggetti consacrati…) tesi a dimostrare la cooperazione volontaria col Male.
Il processo inquisitorio, infatti, si basa su delazioni, sufficienti a condurre una persona davanti al tribunale. La tortura venne applicata come comune tecnica di interrogatorio; le confessioni venivano estorta con la promessa di essere salvati; una volta ottenute, diventavano pena di colpevolezza che poteva anche condurre alla morte.
I processi alle streghe di Venegono Superiore
Nel 1520 a Venegono Superiore sei donne furono accusate di stregoneria e arse vive sullo sfondo del Monte Rosso, oggi zona residenziale di deliziose villette novecentesche sentiero LP, dopo essere state torturate dagli inquistori domenicani.
Si trattava di Elisabetta Oleari, Margherita e Caterina Fornasari, Antonina Del Cilla, Maddalena Del Merlo, Majnetta Codera e Giovannina Vanoni; esse provenivano da Venegono Superiore, Venegono Inferiore, Vedano, Castiglione, Monello, Binago e Appiano.
I fatti oggetto del processo sarebbero accaduti nel 1513, ossia 7 anni prima dell’apertura del procedimento, avvenuto il 20 di marzo 1520 nel castello del conte Fioramonte Castiglioni. Costui era il signore del luogo, militare per conto del governo francese e protagonista di una faida con i Pusterla di Venegono Inferiore, impadronendosi del loro castello nel 1515. Fu catturato nel 1521 da esponenti di quella famiglia e morì in povertà nel ’40.
Le donne si dichiararono colpevoli di tutte le accuse: di aver intrattenuto incontri col Diavolo, che a loro si sarebbe presentato con il nome di Martino; di aver fatto magie “toccando” bestiame e bambini, provocandone la morte; di essersi accoppiate carnalmente con i demoni; di essersi lasciate convincere da “un uomo” che le avrebbe promesso di “stare bene” da allora in avanti.
La vicenda principiò con l’interrogatorio di Margherita Fornasari. Ella era stata accusata – insieme alla figlia Caterina – di essere strega e eretica da un certo Giacomo da Seregno, da poco messo al rogo a Monza per gli stessi crimini. Dal testo del processo si evince che Margherita non coinvolse altre persone, ma fu minacciata di essere torturata se non avesse nominato i suoi complici.
Tra queste, fu tirata in mezzo Elisabetta Oleari che si proclamò innocente dall’inizio alla fine, resistendo a tutte le torture che le venivano inflitte. Le sarebbero persino stati praticati degli esorcismi. Venne accusato anche un uomo accusato, che ricevette come pena l’esilio.
La condanna per le sei streghe fu eseguita tramite rogo nella piazza antistante la chiesa di Santa Maria, presso il castello di Venegono Superiore. Una settima era deceduta durante gli interrogatori, a causa delle feroci torture: il suo corpo venne dissepolto e bruciato.
Il Processus Strigiarum è stato riscoperto recentemente e pubblicato in un volume del 2000 [2]. Nel gennaio 2021, l’Amministrazione Comunale di Venegono Superiore e il Parco della Pineta hanno annunciato il progetto di nuovo sentiero presentato per il Bando Cultura della Fondazione Cariplo. In base alla proposta, il Sentiero delle Streghe sarà realizzato in località Pianbosco, sviluppandosi in un anello di un paio di chilometri. Lungo il percorso, totem informativi e installazioni che racconteranno il contesto storico, la storia dell’Inquisizione e soprattutto il processo alle streghe di Venegono.
Le streghe nella credenza popolare recente
Le streghe hanno rappresento figure reali nella concezione popolare dei nostri paesi sino a pochi anni fa.
Tra le caratteristiche delle streghe nostrane, così come rappresentate negli aesempi (storie orali di paura), vi era la possibilità di spostarsi rapidamente attraverso le campagne sotto forma di mucchi di foglie o sterpi che rotolavano al vento; altre volte, con lo stesso movimento, prendevano forma di cumuli di stracci.
Sempre considerate brutte e malvagie, alle streghe era attributa la capacità di causare danni al mondo agricolo, seccando erbe e prati o facendo ammalare o perire persone e animali.
Da un bollettino parrocchiale di Appiano Gentile del 1926, il sacerdote criticava una credenze che sappiamo essere diffuse in tutti i paesi della zona fino almeno alla scorsa generazione. La prima riguarda il maleficio inviato a bambini e ragazzi che si comprova con la presenza di nodi di piume nel cuscino o nel materasso. Spesso questi grumi prendevano forma di cane, animale che la tradizione vuole essere di contatto tra il mondo dei morti e quello dei vivi, affine alla magia. Il “groppo”, ovviamente, rappresenta un’anomalia da sciolgiere e eliminare; il fatto che appaia nei letti e nel sonno, cela che la potenzialità che gli attacchi magici si manifestino in assenza di veglia e attenzione.
Per evitare i malefici delle streghe si chiedeva la cera di candele consacrate, in particolare quelle del Sabato Santo.
Sempre la stessa fonte appianese riporta che una vecchia venne quasi malmenata poichè ritenuta una strega, a ragione del fatto che una sua vicina si fosse gravemente ammalata. Sicuramente, fino ai primi del Novecento, esistevano in paese donne anziane che “segnavano” i malati, per provocarne la guarigione, o potevano eseguire riti per far innamorare le persone.
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[1] E. Paccagnini, G. Farinelli, Processo per stregoneria a Caterina de Medici, 1616-1617, Rusconi, Milano, 1989; C. Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Einaudi, Torino, 1989; A. Del Col, L’inquisizione in Italia. Dal XII al XXI secolo, Oscar Mondadori, Milano, 2006.
[2] A. M. Marcaccioli Castiglioni, Streghe e roghi nel Ducato di Milano. Processi per stregoneria a Venegono Superiore nel 1520, Thélema Edizioni, Milano, 2000
Autore
Matteo Colaone