Descrizione
Sono pochi, ma rilevanti, i ritrovamenti archeologici finora individuati all’interno del Parco della Pineta. Le tre maggiori stazioni archeologiche sono nel territorio di Appiano Gentile e di Oltrona di San Mamette, inquadrabili nell’orizzonte della Cultura di Canegrate (XIII secolo a.C.) e della Cultura di Golasecca (IX-IV secolo a.C.).
Allo stato attuale, i ritrovamenti sono avvenuti nell’arco dell’ultimo secolo e mai in ragione di indagini pianificate, ma sempre per caso. La conoscenza della proto- e preistoria del nostro territorio sono ancora a uno stato embrionale.
L’arrivo dell’uomo
É ipotizzabile che l’attuale territorio interno ai confini del Parco Pineta si sia mantenuto pressochè libero da insediamenti umani stabili fino all’età medievale. In età protostorica, il paesaggio locale non doveva presentarsi in modo così aspro come doveva apparire solo alcuni secoli fa, ma già, in ragione alla qualità dei suoli e alla loro natura argillosa e poco permeabili, il cuneo compreso tra gli attuali paesi di Vedano, Beregazzo e Mozzate non fu abitato o, perlomeno, tutti i paesi vennero fondati esternamente ad esso.
Nondimeno, alcune testimonianze sono emerse sia all’interno dei confini che ai margini dell’attuale Parco Pineta. Ciò permette di intuire che la regione fosse frequentata dall’uomo almeno dall’Età del Ferro, ma – con tutta probabilità – non prima dell’inizio del terzo millenio a.C., periodo per il quale l’archeologia ha individuato solo segni sporadici di una lenta espansione antropica. L’uomo iniziò ad avvicinarsi alla nostra zona provenendo dall’area dei laghi di Varese, Monate e Comabbio e delle lagozze (Arsago Seprio, Besnate, Centenate…), dove esistevano insediamenti palafitticoli, muovendosi in direzione della Valle dell’Arno e della Valle Olona. Nel secondo millennio a.C. simili nuclei abitati sono stati accertati, oltre che nei laghi varesini, anche in quelli brianzoli.
Tra i ritrovamenti individuati di questa prima età, si ascrivono due ascie rinvenute nell’attuale abitato di Appiano Gentile. La prima, brevemente descritta nel 1927, fu trovata una decina di anni prima durante dei lavori nella Villa Pontiggia [1]. Essa è in serpentino, pietra presente nelle nostre Prealpi, in parte levigate e con margine tagliente. L’oggetto dovrebbe essere ancora conservato presso la Parrocchia di Appiano.
Una seconda ascia in serpentino fu rinvenuta durante lo scavo di un pozzo nella proprietà Benaglio nel 1970 [2]. Non è noto dove sia custodita.
La Cultura di Canegrate
A quest’ultima, vasta facies, che si estendeva dall’attuale Pavese all’attuale Sopraceneri, appartiene il ritrovamento di Appiano Gentile, effettuato nel 1932 in località Monte di Mezzo [3], una collina compresa tra i torrenti Vaiadiga e Rogoretta, a nord della Cascina Monterosso. Sul quel pianoro, i proprietari allargarono una valletta per facilitare lo scolo delle acque e tagliarono alcuni pini. Durante lo scavo emerse un gran numero di tombe, probabilmente una settantina, delle quali la maggior parte risultò danneggiata dalla radici degli alberi; ne vennero indagate solo 12 e, come era d’uso al tempo, vennero recuperati solo gli oggetti considerati più di valore. I defunti del Monte di Mezzo furono cremati con i loro oggetti d’uso quotidiano: armille, ossia braccialetti, spilloni, scodelle, coltelli; i loro resti conservati in vasi ceramici capovolti.
Le tombe, molto compromesse, erano a semplice fossa o, più raramente, protette da lastre di pietra o ciottoli. La zona non mostra oggi nessun manufatto visibile, ma si può lambirla tramite il sentiero 841; gli oggetti citati sono invece custoditi presso il Museo Archeologico Paolo Giovio di Como.
La Cultura di Golsecca
I primi ritrovamenti vennero effettuati nell’entroterra di Golasecca, nella Valle del Ticino, dall’ecclesiastico Giovanni Battista Giani che pubblicò le sue ipotesi nel 1824. Solo negli anni Settanta del secolo scorso si sarebbe giunti a un corretto inquadramento di questa cultura come prima espressione delle popolazioni celtiche in Italia. Rimase comunque d’uso la denominazione per l’intera civiltà che, a partire dal IX secolo a.C, abitò tutto il territorio dell’Insubria, dalla Sesia fino al Serio, e dal Sopraceneri al Po, fino al IV-V secolo a.C., quando si integrò progressivamente con un secondo apporto celtico di origine transalpina, conosciuta come cultura di La Tène. In ogni caso sia la Cultura di Canegrate che quella di Golasecca sono da considerarsi le prime e più antiche civiltà celtiche d’Europa [4].
Buona parte delle indagini archeologiche hanno avuto luogo nell’area di Golasecca, Castelletto Ticino, Sesto Calende, Somma Lombardo e della Malpensa; un altro importante nucleo di Celti “golasecchiani” era insediato sulle alture della Spina Verde, sopra il luogo dove successivamente venne fondata Novum Comum. All’universo di quelli che oggi chiamiamo “golasecchiani” appartenevano diverse popolazioni; per alcune delle quali conosciamo il nome: Insubres, Comenses, Lepontii…
In questa lunga epoca, furono fondati la quasi totalità degli attuali paesi che si affacciano sul Parco Pineta: il più antico fu probabilmente Appiano (Apianon), quindi Tradate (Tarudates), Abbiate (Abiakōn), Locate (Leukates), Veniano (Venianon), Binago (Viniacus) e così via [5].
Come per le culture precedenti, i principali indizi circa la vita e gli usi dei Celti provengono dalle loro sepolture. Nondimeno, nel 1989, un lavoro di sterro eseguito al Gerbo di Oltrona, a poche decine di metri dal confine del Parco, fece emergere i resti di un piccolo insediamento civile [6]. Esso era stato edificato su una piccola altura, prossima alle acque che scorrono nell’Antiga e nella valle del Pravasc. Basato su una vasta pavimentazione in ciottoli di fiume, sul cui fondo vi era una gran quantità di frammenti ceramici: vasi, ciotole, bicchieri e altri suppellettili. Vi è stato notato anche un allineamento di pietre, possibile segno di un muro perimetrale. Il nucleo è stato datato al IV-V secolo a.C.; oggi non sono presenti elementi visitabili e l’area è di proprietà privata.
Nel 1980, non lontano dal sito predetto, ma in Comune di Appiano Gentile, nella località detta della Mortizia, tra la Cascina Montezuccolo e il sentiero LP1, durante la costruzione di un condominio, vennero alla luce tredici tombe a cremazione, ma senza urne cinerarie e con corredi composti da numerosi oggetti ceramici (in particolare i tipici “vasi a trottola”), alcune fibule (spille utilizzate per assicurare le vesti sulle spalle e alla vita) e un rasoio in ferro. La necropoli è stata datata al I secolo a.C., ossia nella fase di prima romanizzazione dei Celti indigeni [7]. La zona è oggi edificata e di proprietà privata.
[1] “Ascia neolitica ad Appiano”, in Rivista archeologica dell’antica provincia e diocesi di Como, Anno 1927, Noseda, Como, 1927,pp. 204-205.
[2] Lettera di Giuseppe Luraschi al periodico “Castellazzo” datata 22 dicembre 1970.
[3] E. Ghislanzoni, “Il sepolcreto di Appiano Gentile”, in Rivista archeologica dell’antica provincia e diocesi di Como, Anni 1932-1933, Tipografia Editrice Ostinelli di Cesare Nani, Como, 1933,pp. 3-20.
[4] V. Kruta, V. M. Manfredi, Celti in Italia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1999; V. Kruta, La grande storia dei Celti, Newton Compton, Roma 2009.
[5] Secondo le ricerche etimologiche dell’ing. Luciano Golzi Saporiti, membro dell’Associazione Studi Storici Tradatesi.
[6] “Mentre si scava in un bosco-vivaio emerge un abitato dell’Età del Ferro”, in La Provincia, maggio 1989.
[7] C. Piovan, G. Pagani, “Necropoli della romanizzazione scoperta ad Appiano Gentile”, in Rivista archeologica dell’antica provincia e diocesi di Como, n° 164, anno 1982, Litotipografia Malinverno, Como, 1983, pp. 221-246.
Autore
Matteo Colaone